Lo stemma della Provincia di Sondrio

L’emblema araldico della Provincia si compone degli stemmi dei comuni (ora città) capoluogo degli antichi Terzieri della Valtellina, vale a dire di Sondrio Morbegno e Tirano e dei contadi di Bormio e Chiavenna.

Lo stemma di Bormio (croce argento in campo rosso, posta in alto a destra) va ricondotto agli antichi legami del Bormiese con i Visconti di Milano.

L’arma civica di Tirano (in alto a sinistra), che presenta un castello a tre torri sovrastato dall’aquila imperiale, non è che lo stemma dei Visconti Venosta, la nobile famiglia tiranese legatissima alla storia della città e assurta a rilievo nazionale durante il Risorgimento. Il Comune lo adottò nel XIX sec. in sostituzione del suo tradizionale simbolo costituito dal patrono della parrocchia San Martino che taglia il mantello con la spada per donarne metà al povero.

Anche lo stemma di Morbegno (in basso a destra) va ricondotto ai santi patroni del Comune, gli apostoli Pietro e Paolo, rappresentati appunto dalle chiavi e dalla spada.

Lo stesso vale per lo stemma del Comune di Chiavenna (in basso a sinistra) le cui chiavi incrociate hanno, con tutta probabilità, a loro volta un’origine religiosa. Dai verbali risulta infatti che anticamente le riunioni del consiglio comunale si tenevano nella chiesa di San Pietro. L’aggiunta più tardi dell’aquila potrebbe riferirsi al passaggio dell’imperatore Federico Barbarossa per l’antico contado.

Lo stemma di Sondrio infine è posto, come è naturale per il capoluogo, al centro dell’arma provinciale. Le spade incrociate e le palme sono un chiaro riferimento ai patroni, i santi Gervasio e Protasio, soldati e martiri. Il giglio d’oro deriverebbe invece dai Capitani castellani di Masegra.

Il serto di fronde che contorna lo stemma provinciale e la corona che lo sovrasta sono i simboli araldici che contraddistinguono le Province nella Repubblica Italiana. Vi predominano le fronde di lauro e di quercia, che rispettivamente significano gloria e forza.

Lo stemma della Provincia di Sondrio

di Bruno Ciapponi Landi

La Provincia di Sondrio ha uno stemma solo da settant'anni. Per l'esattezza dal 23 dicembre 1923 quando il visto del Cancelliere della Consulta Araldica alle "lettere patenti" di concessione, firmate dal Re e controfirmate dal Presidente del Consiglio dei ministri, pose fine alla pratica.

Il più remoto documento rintracciato nell'archivio storico dell'ente riguardante lo stemma è una lettera del 14 agosto 1870 del prefetto Paladini che, su richiesta del Ministero per l'Interno, chiedeva notizie all' "Onorevole Deputazione " sull'emblema usato dalla Provincia di Sondrio. La Deputazione, rispose il 20 agosto seguente dichiarando di non avere uno stemma ufficiale e di non reputare necessario "far domanda" per averlo. L'esigenza di possedere uno stemma non fu sentita fino a quando, nel 1921, la Provincia di Milano chiese di averne copia per fregiare con esso e con quelli delle altre provincie lombarde la copertina del Bollettino Regionale. La Deputazione Provinciale (così allora si chiamava la Giunta), decise di provvedervi e, come si legge nel verbale in data 30 settembre, deliberò di incaricare il presidente ing. Enrico Vitali "di richiedere il parere degli studiosi e competenti in materia" affinché fossero raccolti "studi ed elementi per la composizione di uno stemma provinciale corrispondente alle tradizioni storiche della nostra vallata".

Il Presidente si rivolse allora a don Pietro Buzzetti di Chiavenna, autore di studi storici e di specifici articoli sull'argomento (e del quale probabilmente era amico). Più tardi estese l'invito anche a don Santo Monti e all'ing. Antonio Giussani, ambedue di Como, e noti cultori di storia patria. Giussani in fatto di adozione di stemmi aveva una buona competenza e godeva di credito per la serietà dei suoi studi storico-artistici, molti dei quali di argomento valtellinese.

Don Buzzetti fornì subito una sua proposta per il nuovo stemma indicando le ragioni che, a suo parere, escludevano la possibilità di adottare uno degli emblemi presi in considerazione verso la fine del secolo scorso da Francesco Romegialli e da Luigi Gandola nelle loro pubblicazioni.

Francesco Romegialli aveva ipotizzato che uno stemma da lui veduto nell'arcipretura di Sondrio raffigurante, nella parte alta un vescovo, e in basso una torre fra due montagne, potesse essere stato l'antico emblema della Valtellina. Il Gandola aveva dimostrato che, nel periodo di governo autonomo della valle fra i Vespri Valtellinesi del 1620 ed il ritorno dei Grigioni, il Consiglio reggente aveva adottato per il proprio suggello un emblema in cui figuravano, la Beata Vergine che reggeva fra le mani una catena spezzata e il motto "Vallis Tellinae Libertas ".

Lo storiografo chiavennasco riteneva poco fondata la prima ipotesi e faceva notare che, in ogni caso, ambedue gli emblemi erano rappresentativi di una sola delle tre antiche giurisdizioni che la Provincia riuniva e cioè della sola Valtellina propriamente detta, con l'improponibile esclusione delle contee di Bormio e di Chiavenna. Per questo proponeva l'adozione di un nuovo stemma. Ne propose due tipi concettualmente uguali, ma "uno interzato al palo" (diviso cioè verticalmente in tre parti), l'altro "interzato in fascia" (cioè, sempre diviso in tre parti, ma orizzontalmente). La divisione era riferita alle tre giurisdizioni che la provincia riuniva: la Valtellina, la Contea di Chiavenna, il Contado di Bormio.

I due tipi di stemmi proposti dallo storico chiavennasco don Pietro Buzzetti nel 1921, con le tre divisioni (verticali o orizzontali) riferite alla tre giurisdizioni che la Provincia riuniva: Valtellina, Contea di Chiavenna e Contado di Bormio. La scelta cadrà sul tipo di stemma proposto dall'ing. Giussani

 

Per il primo tipo proponeva il color rosso con croce d'argento, per i due "campi" laterali (Chiavenna e Bormio), e per quello centrale (Valtellina) l'argento con palme "decussate" sopra la scritta "Deo et patriae" allusiva alla rivoluzione valtellinese del 1620. L'alternativa (con i campi orizzontali), prevedeva: l'azzurro, con le croci d'argento ai lati, per il primo campo in alto; l'argento con le palme sopra la scritta, per quello centrale e il verde per il terzo campo.

L'ingegner Antonio Giussani, propose invece uno stemma "costituito da quello di Sondrio, inquartato con quelli di Chiavenna, Tirano, Morbegno, Bormio", con una alternativa costituita dalla diversa disposizione degli stemmi agli angoli (ferma restando cioè la centralità di quello di Sondrio); praticamente l'unione degli stemmi dei comuni capoluogo dei cinque mandamenti in cui la valle era allora divisa.

Sia le proposte di don Buzzetti sia quelle dell'ing. Giussani erano corredate da disegni a colori e a tratteggio (in araldica la diversa posizione dei tratti sostituisce la colorazione).

Non risulta che don Santo Monti, il terzo interpellato, abbia fornito proposte. L'argomento fu portato all'esame del Consiglio Provinciale riunito il 12 dicembre 1921 sotto la presidenza dell'on. avv. Giovanni Merizzi e con l'assistenza del prefetto comm. Umberto Rossi in qualità di Commissario Regio; venne presentato con una dettagliata relazione che si concludeva con la comunicazione che la Deputazione, a maggioranza dei suoi membri, aveva sì espresso preferenza per il secondo tipo di stemma proposto dall'ingegner Giussani, ma che tuttavia, sulla materia rinunciava a formulare una proposta concreta rimettendosi alle decisioni dell'assemblea.

A favore dell'adozione dello stemma proposto dall'ing. Giussani intervennero due eminenti membri del Consiglio, il comm. Emilio Bosatta e il l'ing. Francesco Sassi de Lavizzari, quindi, passati ai voti la proposta venne approvata "a grande maggioranza". Con il provvedimento poteva quindi iniziare il suo iter la pratica per ottenere la concessione dello stemma. Nessuna obiezione venne sollevata dal Commissario del Re aggiunto presso la Consulta Araldica a Piacenza al quale l'istanza provinciale fu rimessa per l'esame e parere. Di lì a poco più di un anno, il Segretario Capo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con lettera del 4 marzo 1923, comunicò alla Deputazione che, "in conformità del parere espresso dalla Giunta permanente Araldica" il Ministro avrebbe proposto al Re la concessione dello stemma. L'iter e la sua conclusione compaiono riassunti nell'aulico linguaggio della Regia Patente di concessione del dicembre successivo:

 “Ci piacque con Nostro Decreto del cinque aprile millenovecentoventitrè concedere alla Provincia di Sondrio la facoltà di fare uso di un particolare stemma. Ed essendo stato il detto Nostro Decreto registrato, come avevamo ordinato, alla Corte dei conti e trascritto nei registri della Consulta Araldica e dell'Archívio di Stato in Roma, vogliamo ora spedire solenne documento della accordata grazia all'Ente concessa.

Perciò, in virtù della Nostra Autorità Reale e Costituzionale, dichíariamo spettare alla Provincia di Sondrío la facoltà di fare uso dello stemma miniato nel foglio qui annesso, che è: inquartato: al primo spaccato d'argento e di rosso al castello di pietra, aperto e finestrato di nero, merlato alla ghibellina, sormontato dall'aquila coronata, al volo abbassato, di nero, il tutto sulla partizione; al secondo di rosso alla croce d'argento; al terzo di rosso a due chiavi d'argento, decussate coll'ingegno in alto volto all'esterno, legate con catenella d'argento, e accantonate in alto dall'aquila coronata, di nero; al quarto di rosso alle due chiavi d'argento decussate, coll'ingegno in alto e con una spada pure d'argento, all'elsa d'oro, posta in palo, con la punta in alto, in mezzo al campo; sul tutto partito d'azzurro e d'argento, alle due spade decussate, di argento, all'elsa d'oro, accompagnate da due rami di palma, di verde, decussati, il tutto sormontato da un giglio d'oro, sulla partizione. Lo scudo sarà sormontato della corona stabilita per le Provincie.

Dichíariamo, inoltre, dovere detto stemma essere registrato nel Libro araldico degli Enti morali. Comandiamo, poi, alle Nostre Corti di Giustizia, ai Nostri Tribunali ed a tutte le Potestà civili e mílitari di riconoscere e di mantenere alla Provincia di Sondrio i diritti specificati in queste Nostre Lettere Patenti, le quali saranno sigillate col Nostro Sigillo Reale, firmate da Noi e dal Presidente del Consiglio dei Ministri e vedute dalla Consulta Araldica.

Date a Roma, addì venti del mese di dicembre dell'anno millenovencentoventitrè, ventesimoquarto del Nostro Regno.”

Vittorio Emanuele

Mussolini

Viste e trascritte nei registri della Consulta Araldica, oggi ventitrè dicembre millenovecentoventitrè, il Cancelliere della Consulta Araldica,

Amedeo de Mezzi

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